So ciò che pensi

Ogni tanto mi trovo a vagare con la mente e a riflettere su come la mia persona sia percepita dagli altri.
Qualche giorno fa ho pubblicato su Instagram delle storie in cui parlo, un tipo di contenuto che non pubblico quasi mai perché mi sento a disagio sia a registrarle che poi a postarle, la mia mente si riempie di: “E se fossi ridicola?” oppure “nessuno le ascolterà”.
E allora cerco di combattere queste vocine interne e di non farmi condizionare. La verità però è che, essendo degli esseri sociali e anche social, è lecito porsi delle domande su come gli altri considerino il nostro stare al mondo ma ciò non deve ostacolare la nostra libertà.

La mente per natura è portata a interpretare gli stati mentali delle persone che ci circondano, è un’operazione che svolgiamo continuamente nel nostro quotidiano quando, ad esempio, discutiamo con un nostro amico o quando chattiamo su un gruppo whatsapp.
Cerchiamo di capire dove una conversazione vuole andare a parare oppure interpretiamo delle azioni attribuendogli un significato.

Come mai lo facciamo?

Siamo dotati di una particolare capacità cognitiva conosciuta come Teoria della mente, o anche mindreading, individuata da Premack e Woodruff (1978) negli scimpanzé, e successivamente ricondotta all’essere umano e integrata da Sperber e Wilson (1982, 2002) nella Teoria della Pertinenza.
Il mindreading è il dispositivo che ci consente di interpretare le intenzioni comunicative del parlante, oggi conosciuto come la capacità di mentalizzazione e di comprensione degli stati mentali altrui.
Studi sullo sviluppo del mindreading e sui soggetti affetti da Sindrome dello Spettro Autistico (Wimmer Perner ,1983; Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1985) hanno mostrato che questo sistema cognitivo è estremamente importante per la comunicazione e l’esperienza sociale, rilevando un progressivo sviluppo e perfezionamento delle rappresentazioni e delle meta-rappresentazioni nel corso della vita umana. Questo significa che la mentalizzazione ha come proprietà fondamentale la ricorsività, che è la possibilità di elaborare più livelli di rappresentazioni mentali, come accade nell’episodio di Friends, Io so che tu sai che io so (si rimanda al capitolo 3, paragrafo 4, del libro di Scott-Phillips Di’ quello che hai in mente).

Attraverso il test di Sally-Anne (Wimmer e Perner, 1983), compito che richiede l’attribuzione di credenze alla mente dei soggetti dell’immagine, è stato mostrato che a partire dai quattro anni si attribuisce un primo stadio di mindreading e quindi da quest’età si è capaci di risolvere il test.

Per quanto riguarda anomalie a tale sistema, come nel caso dell’autismo, è stato osservato che le intenzioni comunicative del parlante non vengono comprese e si rimane agganciati al significato letterale, questo fenomeno è stato contrassegnato da Baron-Cohen (1997) come cecità mentale. Questo, porta all’attenzione l’importanza che tale sistema cognitivo riveste nella comunicazione.

Senza entrare nei dettagli della Teoria della Mente e perderci nella comunicazione, in questo momento per noi è importante evidenziare la naturalezza insita nel fenomeno di interpretazione del pensiero altrui. E quindi mostrare che quelli che comunemente, nel gergo, chiamiamo “complessi” sono un’attività cognitiva che fa parte del nostro essere, perciò, noi tendiamo per costituzione cognitiva a domandarci cosa passa nella mente degli altri.
Quindi, cercare di comprendere come gli altri ci percepiscano o cosa pensino è un’attività cognitiva spontanea e questo non deve frenare in alcun modo la nostra persona ma ci deve far riflettere sulla nostra complessità e su come alcuni pensieri siano un frutto genuino del nostro sistema cognitivo.

“L’uomo piglia a materia anche se stesso, e si costruisce, sissignori, come una casa. Voi credete di conoscervi se non vi costruite in qualche modo? E ch’io possa conoscervi se non vi costruisco a modo mio? E voi me, se non mi costruite a modo vostro? Possiamo conoscere soltanto quello a cui riusciamo a dar forma. Ma che conoscenza può essere? E’ forse questa forma la cosa stessa? Sì, tanto per me, quanto per voi; ma non così per me come per voi: tanto vero che io non mi riconosco nella forma che mi date voi, nè voi in quella che vi do io; e la stessa cosa non è uguale per tutti e anche per ciascuno di noi può di continuo cangiare, e difatti cangia di continuo. 
Eppure, non c’è altra realtà fuori di questa, se non cioè nella forma momentanea che riusciamo a dare a noi stessi, agli altri, alle cose. La realtà che ho io per voi è nella forma che voi mi date; ma è realtà per voi e non per me; la realtà che voi avete per me è nella forma che io vi do; ma è realtà per me e non per voi; e per me stesso io non ho altra realtà se non nella forma che riesco a darmi. E come? Ma costruendomi, appunto” 

[Pirandello, Uno, nessuno e centomila, Mondadori, 1969, 59] 

Bibliografia

Baron-Cohen, S. (1995). Mindblindness: An Essay on Autism and Theory of Mind. Cambidge: The MIT Press.

Baron-Cohen, S., Leslie, A. M., & Frith, U. (1985). Does the Autistic Child Have a “Theory of Mind”. Cognition, 21(I), 37-46.

Pirandello L. (1926, riedizione 2014), Uno nessuno e centomila, Einaudi

Premack D. & Woodruff G. (1978). Does the Chimpanzee Have a Theory of Mind? Behavioral and Brain Sciences, 1, 4: 515-526, doi: 10.1017/S0140525X00076512

Scott-Phillips, T. (2019).  Di’ quello che hai in mente, Le origini della comunicazione umana. Roma: Carocci editore.

Sperber, D., & Wilson, D. (1986). Relevance: Communication and Cognition. Cambridge: Harvard University Press.

Sperber, D., & Wilson, D. (2002). Pragmatics, Modularity and Mind-Reading. Mind and Language, 2-33.

Wimmer, H., & Perner, J. (1983). Beliefs about beliefs: representation and constraining fuction of wrong belief in young children’s understanding of description. Cognition, 103-128.

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